Un gioco di incastri: come diventare genitori

RIFLESSIONI ATTORNO ALLA GENITORIALITA’
di Andrea Brogioni (studiotebe.it)

Quando nasce un figlio nascono fisicamente anche i genitori, in un percorso pieno di emozioni, fatiche, soddisfazioni, domande a cui dare rispose, decisioni da prendere. Con il crescere del figlio crescono con lui anche i genitori, chiamati a trovare nuovi modi di stare in relazione con un piccolo che cambia e che manifesta esigenze diverse ad ogni tappa dello sviluppo. E’ il figlio stesso che crescendo in qualche modo “insegna” loro come svolgere questo mestiere, stimolandoli a cambiare, a trovare nove declinazioni del “ci siamo”, espressione, in fondo, in cui risulta sintetizzato il lavoro genitoriale. Un vero e proprio gioco di “incastri”. Ma non sempre questo incastro si trova facilmente. Talvolta è fonte di grande preoccupazione.

In età infantile questo “ci siamo” appare nella sua declinazione più basica del prendersi cura del figlio e dei contesti che ruotano attorno a lui. Un genitore può influire e avere facile accesso a tutti contesti di vita del proprio bambino: parlando con le insegnanti, con l’allenatore, con i genitori dei suoi amici può ricevere informazioni sugli apprendimenti scolastici e sulle sue competenze sociali.
Questa dinamica è però destinata ad una drastica revisione con l’arrivo dell’adolescenza. durante la quale il ragazzo compierà il suo viaggio di crescita e di separazione dall’ambiente familiare, necessari per sviluppare una propria identità e individualità. E allora il figlio potrà non essere più quel tenero bambino un po’ vivace, così attento ai sentimenti dei genitori o così ricercante un loro abbraccio. La mano che tanto volentieri il bimbo dava alla madre nel consueto giro in centro, inizia ad essere tenuta in tasca e il contatto e la vicinanza fisica fermamente rifiutati. Le domande del padre circa la vita sociale della figlia iniziano a non ricevere più la risposta sincera e aperta quanto piuttosto un «Babbo lasciamo stare, sono cose mie!» che lascia interdetti e stride con i racconti vividi che si riceveva solo pochi anni prima. Il genitore vive quindi un passaggio per certi versi traumatico. Da sapere tutto o quasi del figlio e delle sue interazioni sociali all’avere spazi della sua vita di cui riceve poche monosillabiche informazioni; da atteggiamenti prima remissivi a comportamenti talvolta di franca sfida alla sua autorità o di protesta di varia natura. Più si cerca di colmare quel vuoto, quell’area “segreta” della vita del figlio, più si può andare incontro ad una porta chiusa, a risposte piccate se non ad un aperto rifiuto.

Ovviamente non per tutti i genitori è così: gli esempi possono non essere calzanti per tutti i figli. Infatti è impossibile racchiudere la complessità di un passaggio così specifico in poche righe. Rimane comunque indubbio che un genitore di fronte all’abbandono dell’età infantile da parte del figlio o della figlia si trova di fronte a strade nuove e diverse, verso cui può diventare difficoltoso l’utilizzo delle strategie educative e degli atteggiamenti fino a poco prima utilizzati.
Molto spesso la domanda di aiuto che mi è capitata di intercettare nella mia attività clinica ha alle fondamenta la difficoltà a trattare con questo figlio, divenuto improvvisamente difficile e impermeabile a ciò che prima riusciva a smuoverlo o suscitare una sua positiva reazione. La criticità è talvolta dovuta ad una modalità di relazione utilizzata che sembra ancora legata ad una immagine infantile. Domande dirette e pressanti, la volontà di essere sempre fisicamente presenti, il continuare ad entrare in merito alla vita sociale del figlio, per citare solo alcune delle modalità relazionali utilizzabili, sembrano infatti sottendere l’idea di un figlio che non ha ancora sviluppato una sua individualità, non riconoscendo la parte di strada che egli ha fatto e sta facendo: infatti è in età adolescenziale che si inizia a testarsi e mettersi alla prova come individui autonomi.

Ecco allora che il genitore è tenuto a trovare una nuova posizione, un nuovo incastro in quanto quello precedente non è più adeguato. Un nuovo incastro caratterizzato dal tollerare che ci siano aree della vita del figlio che gli sono precluse e di cui probabilmente non saprà mai niente; dal rimanere ad una vigile distanza, pronti ad esserci all’occorrenza e abbandonare la presenza fisica costante. Più di tutto, infine, un genitore di un figlio adolescente è tenuto a tollerare che mostri di non aver più bisogno di lui. Questo, talvolta, sembra essere lo scoglio più ripido da superare. E a ben vedere il continuare ad essere legati a sue immagini passate svolge anche una funzione protettiva, di scudo, verso interrogativi del tipo: “Saremo stati buoni genitori?”. La paura legata a questa domanda è talvolta quella di non averlo cresciuto capace di rispondere adeguatamente alle sfide che il tessuto sociale gli pone, di distinguere ciò che è lecito o non lecito e fare le scelte coerentemente. Allora considerarlo “piccolo”, bisognoso delle cure e delle attenzioni materne e paterne, tenerlo ancora legato al nido familiare sembra essere un modo per evitare questa messa alla prova, del figlio ma anche dei genitori. Ma forse ancor più difficile da sopportare è la consapevolezza che talvolta essere stati presenti può non bastare a preservare il proprio figlio dalle difficoltà e le criticità della società odierna. Non tutti gli adolescenti che si mettono nei guai, infatti, hanno avuto dei genitori assenti a trascuranti. E questo getta ancora più dubbio e incertezza. Ma se non esiste un incastro “buono” in assoluto, adatto a tutte le famiglie – ognuno è chiamato a costruirne uno specifico – quello che un genitore è chiamato a creare si giocherà anche sull’imparare a stare dentro questo emozioni e questi dubbi, sul sapere attraversarli e lasciarsi attraversare da essi, trovando un proprio specifico modo per conviverci.

2018-12-14T11:57:18+01:00