Come arrivare al benessere psicologico

Il benessere psicologico

«Benessere, qualità della vita, star bene, allegria, “benestare” o star bene, insegnamento del benessere, felicità, gioia. Sono tutti sinonimi di quello che comunemente si chiama piacere» (Spaltro, 1995)

Il tema del benessere si configura come uno dei più attuali argomenti di discussione fra varie discipline. Quest’ultimo attiene allo studio sia della psicologia che di altre discipline, come la filosofia, la politica, l’economia, l’urbanistica, l’economia e molte altre ancora.
Già Epicuro nel IV sec. a.C. parlava della felicità nell’Epistola a Meneceo, scrivendo: «…bisogna […] esercitare ciò che procura la felicità, perché se abbiamo questa, abbiamo tutto, ma se manca, facciamo di tutto per averla…» (http://www.accademiadeifiumi.it/articoli/filosofia.shtm ).

Per potere parlare di benessere occorre esser innanzitutto certi di comprendere di cosa ci si sta occupando: che cos’è, dunque, il benessere? La domanda è sintatticamente semplice, eppure ci si accorge che, entrando nei meandri dell’argomento, è difficile trovare una risposta esaustiva, ancor di più se ci si auspica di trovare una definizione omnicomprensiva del concetto di benessere.

La difficoltà di definizione del benessere riguarda il fatto che il benessere «non è […] un’entità unitaria semplice e non riguarda un singolo costrutto specifico» (Aureli, E. et al., 1999: p. 21). Tanto che c’è chi ormai afferma che «ogni autore formula una propria definizione […] spesso in antitesi ad altri ricercatori, e su queste premesse imposta il proprio lavoro» (ibidem).

Spaltro (1995) ha sottolineato come la psicologia contemporanea si sia più che altro occupata della faccia opposta della medaglia ovvero del malessere e del fatto che, da ormai troppo tempo, il benessere sia considerato come l’assenza della condizione del malessere. È davvero così? Possiamo affermare che una persona che goda di un certo benessere è tale solo perché non presenta una condizione di malessere? La salute è assenza di malattia? L’OMS ormai da un trentennio, parlando di promozione della salute con la conferenza d’Alma Ata (1971) prima, e con la carta d’Ottawa (1986) poi, ha ribadito il concetto di salute e di benessere nella loro dimensione positiva (Zani, B., Cicognani, E. 2000).

La definizione di salute dell’OMS, «uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non solamente assenza di malattia o infermità», costituisce una svolta storica che permette il definitivo abbandono dell’interpretazione medicalista al benessere. Quest’ultima considerava il benessere l’opposto del disagio e si poneva dunque nella logica della mancanza, in cui il “sano” diventa «appendice del patologico» (Lavanco, G., Novara, C. 2002).

Claudine Herzlich (1986) ha analizzato le varie concezioni della salute che si sono susseguite nel tempo ed ha individuato tre momenti nei quali vi è stato grande cambiamento di pensiero sulla salute. Nella “società capitalistica della prima accumulazione” la salute non aveva un senso indipendente dalla non-salute (op. cit.). In questo periodo gli interventi sulla salute non potevano che essere mirati all’eliminazione dell’ostacolo alla salute (op. cit.).

Nella “società capitalistica di seconda industrializzazione fino a quella di capitalismo maturo” la salute diviene un bene che permette all’individuo di produrre. La salute del singolo diviene allora un bene che arricchisce la nazione stessa (op. cit.). Aumentano gli interventi riparativi e preventivi della salute sia da parte del singolo cittadino sia anche del settore pubblico (op. cit.).
Nella “società post- industriale”, segnata dalla crescita dei desideri e dei consumi, la salute inizia ad essere un’attività di scelta del soggetto e delle istituzioni. Il soggetto viene infatti chiamato a scegliere i propri consumi. Le scelte che il soggetto compie possono costituire minaccia alla sua salute stessa (ad esempio la scelta di consumare regolarmente alcol conduce all’alcolismo) (op. cit.).

Dalla malattia al benessere psicologico

Interessante può risultare anche l’analisi storica della salute in ambito organizzativo proposta da Avallone e Paplomatas, della quale è utile osservare una loro tabella riassuntiva.

Periodo Approccio alla sicurezza Concezione della salute Aspetto non presente Strategia di intervento
Inizi ‘900 Dall’assenza a prime considera-
zioni per la salute dei lavoratori
 Assente Aspetto non presente Nessuna
Anni ‘30/’40 Valutazione delle condizioni di lavoro che costituiscono rischio di infortunio Prevalente-
mente fisica.
Primaria importanza del fattore umano e degli aspetti motivazionali
Concezione meccanicisti-
ca. Causalità
lineare. Conseguenza in termini
di danno fisico
Incentrata sulla cura del danno
Anni ‘50/’60 Lavoratore visto come soggetto attivo che interagisce con l’ambiente di lavoro. Job design, selezione e addestramento del personale Interesse verso gli aspetti mentali della salute Interazione individuo/
Ambiente. Permane causalità lineare. Conseguenze come danno anche mentale sull’individuo
Prevalente-mente incentrata sulla cura dei danni fisici e mentali
Anni ‘70  Prevenzione dagli infortuni e delle malattie professiona-
li. Potenzia-
mento della Health Protection
Fattori biologici. psicologici e sociali coinvolti nella genesi della malattia Centratura sull’individuo, ma è maggiormente valutata l’interazione tra lavoro/ individuo/ contesto Centratura sulla prevenzione
Anni ‘80/’90 Dalla Health Protecion alla Health Promotion. Formazione, partecipazione e coinvolgi-mento delle persone Maggiore conoscenza e attenzione ai fattori organizzativi che minacciano la salute Inizio approccio sistemico. Conseguenze in termini di malessere psicofisico valutate anche per l’organizza-zione Sviluppo dell’approc-
cio preventivo e introduzione del concetto di promozione della salute
Fine anni ‘90 e nuove prospettive Importanza della cultura della sicurezza e connessione con la qualità del lavoro. Ricerche sui nuclei culturali delle organizzazioni altamente affidabili Salute non come assenza di malattia, ma come stato di benessere psicofisico Approccio sistemico e causalità circolare. Conseguenze in termini di assenza di benessere psicofisico e sul sistema individuo-organizzazione Promozione cultura della salute e della sicurezza

FONTE: Avallone, F., Paplomatas, A. 2005

E’ fondamentale ricordare quindi che fino alla metà del Novecento il modello medico di approccio alla salute è stato anche l’unico modello di approccio ad essa (Lavanco, G., Novara, C. 2002).
In tale modello «l’eziopatogenesi (individuazione delle cause) era il punto di arrivo e non di partenza per la cura e si inseriva all’interno del paradigma della giustificazione, dove è la malattia a spiegare gli effetti che si possono attendere dall’intervento. Dentro questo paradigma si è in grado di riconoscere la malattia, meno la persona malata, niente affatto la salute» [(Colaianni, L. 1998) Lavanco, G., Novara, C. 2002: p. 79].

Oggi si è oramai passati ad un modello “biopsicosociale” abbandonando definitivamente il modello “biomedico”. Il primo è un modello riduzionistico che ritiene la malattia una variabile indipendente da quella sociale, tuttavia tale modello considera la malattia come deviazione dalla norma di variabili biologiche misurabili (Zani, B., Cicognani, E. 2000).

Questa concezione, essendo prettamente biologica, non è orientabile alla prevenzione, dato che quest’ultima tenta di incidere sulle credenze, sui comportamenti, sugli atteggiamenti di salute facendo leva sulle capacità del soggetto (concepito come agente attivo) (op. cit.). Il modello “biopsicosociale” è invece il modello che più si presta all’idea di prevenzione e di promozione della salute. Esso è, infatti, un modello di impostazione chiaramente sistemica, che prende in osservazione diversi livelli di interpretazione della salute (aspetti biologici, aspetti psicologici, aspetti sociali) e che li integra in un’ottica sempre più multidisciplinare.

Inerentemente alla prevenzione e promozione della salute risulta fondamentale il passaggio avvenuto negli anni Ottanta dall’Health Protection all’Health Promotion. Questi concetti vanno opportunamente distinti: infatti l’Health Protection consiste nel salvaguardare il maggior numero possibile di persone dalle minacce che potrebbero attentare alla loro salute (Glasgow, R. E., Terborg, J. R.  in Avallone, F., Paplomatas, A. 2005); l’Health Promotion sta nel portare le persone a compiere scelte ragionate che migliorino la loro salute fisica e mentale (ibidem).

É autoevidente la portata innovativa di questo passaggio: il soggetto diventa garante e promotore attivo della propria salute; si passa dal prendersi cura del danno al prendersi cura della salute, dello star bene.
Proprio riguardo quest’ultimo termine dobbiamo ricordare quanto sottolineato da Spaltro (1995: p. 14): «vale la pena soffermarsi un poco sulla differenza tra benessere e benestare, che in spagnolo è più chiara tra bien ser e bien estar. Il benessere è un modo di pensare, un costrutto mentale, mentre il benestare è un modo di agire, un comportamento. Il benessere è un target, un trend, una mission, termini inglesi per dire un obbiettivo, un’utopia che verrà, mentre il benestare un comportamento, qualcosa che già c’è, o che sta esistendo adesso (ibidem)».

Sebbene il benessere guardi a qualcosa di soggettivo, che è dunque all’interno della persona, ed invece il benestare guardi prettamente a elementi esteriori all’individuo (ad esempio lo status socio- economico) e quindi più oggettivi, entrambi non possono esser considerati l’uno in maniera avulsa dall’altro. Ciò infatti significherebbe compiere un passo indietro, tornare a modelli non olistici, non integrati.

Tale errore ha alla sua base una rigida separazione delle variabili interne ed esterne al soggetto. Codesta separazione non tiene conto della relazione esistente tra l’individuo e l’ambiente, che si influenzano reciprocamente in un’interazione dinamica (Fonzi, A. 2001) e costituiscono un “sistema integrato e dinamico” (Magnusson, D., Stattin, H. in op. cit.).
La testimonianza del passaggio dal benessere come assenza di malessere al benessere nella sua dimensione positiva è il sorgere di numerosi modelli sempre più complessi che considerano multiple variabili, sebbene coesistano a tuttora modelli molto semplici che riducono la complessità dell’”oggetto- benessere” considerato.

Un modello molto articolato sul benessere è stato prospettato da Carol Ryff (in Zani, B., Cicognani, E., 1999), la quale individua sei dimensioni del benessere: autonomia: fa riferimento alla capacità del soggetto di prescindere dalla spinta sociale ad agire in determinate maniere, di autodeterminare con un “pensiero indipendente” le proprie scelte comportamentali, di usare quindi valutazioni fondate su valori personali per decidere i propri comportamenti (op. cit.); padronanza ambientale: concerne l’abilità di gestione dell’ambiente esistente e la capacità di creare contesti adeguati alle proprie necessità (op. cit.); crescita personale: corrisponde alla sensazione di realizzazione del sé, della propria persona e ai sentimenti di sviluppo personale (op. cit.); relazioni positive con gli altri: è inerente all’avere rapporti interpersonali soddisfacenti, all’avere affetto, confidenza e sintonia con l’altro (op. cit.); accettazione di sé: consiste nel riconoscimento e nella presa di coscienza del proprio sé e delle proprie esperienze passate (op. cit.); scopo nella vita: riguarda l’avere un “senso di direzionalità”, una finalità comportamentale (op. cit.).

Questo modello, al quale sebbene si debba riconoscere il tentativo di articolare in modo complesso il concetto di salute e di intenderlo anche nel suo senso positivo, trascura l’aspetto complessivo del benessere ovvero l’essere “biopsicosociale”, osservando il benessere meramente psicologico.
Secondo Keyes (in Zani, B., Cicognani, E., 1999) “per comprendere il funzionamento ottimale e la salute mentale” (Zani, B., Cicognani, E. 1999) bisogna analizzare il benessere sociale, del quale l’autore individua cinque criteri.

Il primo è quello dell’integrazione sociale: se e quanto le persone sentono di condividere cose comuni con altri e di appartenere ad una comunità (op. cit.).

Il secondo è l’accettazione sociale: descrivibile come sentimento di fiducia nell’altro, senso di agio nello stare con l’altro, opinione positiva sulla natura umana (op. cit.). Il terzo è costituito dal contributo sociale: corrisponde alla possibilità di offrire qualcosa alla scena sociale, di avere un valore per la società (op. cit.).

Il terzo criterio è inerente l’attualizzazione sociale ovvero “la valutazione delle potenzialità e dell’andamento complessivo della società” (op. cit.). Infine, l’ultimo è dato dalla coerenza sociale: consiste nella valutazione di una società intelligibile, comprensibile e ordinata (op. cit.).

Le direzioni in cui la ricerca sul tema del benessere si è articolata sono essenzialmente tre:

  • benessere soggettivo
  • benessere psicologico
  • benessere sociale

Una prima direzione si occupa del benessere soggettivo, ovvero dell’analisi dell’esperienza soggettiva del benessere (Diener, E.; Andrews, F. M., Robinson, J. P. in Zani, B., Cicognani, E. 2000).
Una seconda direzione si occupa del benessere psicologico ovvero di individuare le componenti della salute psicologica ottimale (Ryff, C. in Zani, B., Cicognani, E., 1999).
Infine, l’ultima direzione, quella del benessere sociale, ritiene il benessere del singolo responsabilità anche delle relazioni sociali all’interno delle quali il soggetto vive, nonché la comunità e la società alle quali appartiene.

Linee guida per un modello ecologico e sociale di salute sono state tracciate abbastanza dettagliatamente da Kickbusch (funzionario dell’OMS) già nel 1986 nel “primo seminario multidisciplinare italiano sulla promozione della salute” dal titolo: “Dalla prevenzione della malattia alla promozione della salute. Ricerca scientifica, iniziativa pubblica, attività volontarie e informali, ruolo degli operatori professionali” (Ingrosso, 1987).

L’autrice ha evidenziato infatti come un modello ecologico e sociale di salute:

  • si rivolge all’uomo nella sua unità psicosomatica, alla persona in un sistema familiare, in una comunità, in una cultura. Un modello che tiene conto della persona in tal senso guarda dunque all’interazione che si verifica tra i vari fattori ed evidenzia il benessere, la soddisfazione, l’autonomia, il funzionamento della struttura sociale (op. cit.);
  • inserisce la distribuzione della salute nel sistema sociale e l’accessibilità della salute a seconda del reddito, dell’età, dell’istruzione, del sesso. È un approccio che ha chiaro come lo stile di vita sia un fattore determinante per la salute (op. cit.);
  • cerca di capire quali significati ha la salute per ogni persona in relazione alla cultura e alla comunità di appartenenza (op. cit.). Ogni persona ha, infatti, una propria scala di priorità e non è detto che la salute sia il fattore prioritario; inoltre in tale scala di priorità la cultura ha un peso rilevante (op. cit.);
  • tiene conto dell’interpretazione che la persona da alla salute; questa risulta quindi influenzata dagli stati emotivi e dalla percezione (op. cit.);
  • «vuole comprendere le azioni sanitarie nel contesto dei patterns di vita quotidiana» viene quindi considerato «parte della vita quotidiana l‘assumersi dei rischi, specialmente da parte di coloro che vivono in condizioni disagiate. La salute non può essere usata come uno strumento di controllo della vita sociale» (op. cit.: p.140);
  • sottolinea l’esistenza in ogni comunità di vari livelli e forme di cura, di mantenimento e guarigione della salute e che questi interagiscono fra loro (op. cit.). Tanto maggiore sarà l’interazione e la comunicazione fra i vari livelli di sostegno, tanto più saranno le possibilità per la gente di stare bene (op. cit.).

Come valutare il benessere

I metodi di valutazione del benessere vanno distinti a seconda di quale aspetto del benesssere vogliano interessarsi. Sull’argomento Zani e Cicognani (1999) enumerano strumenti che misurano il benessere sogggettivo, altri che valutano il benessere psicologico ed altri ancora protesi a rilevare il benessere sociale.

Valutazione del benessere soggettivo

Un primo problema a chi si volesse avventurare nella misurazione del benessere soggettivo riguarda il ritenere o meno questo fenomeno come stabile nel tempo e nelle situazioni.
Il Movimento degli indicatori sociali e psicologici della qualità della vita ha postulato una certa presunta stabilità nel tempo del benessere soggettivo, ma numerosi sono i dubbi sollevati circa la rilevabilità di un fenomeno è stato ritenuto non avere corrispondenza con fattori “oggettivamente” misurabili.

La valutazione del benessere soggettivo ritenuta più adeguata è stata affidata ai self- report. Queste scale, in genere scale di atteggiamento, s’indirizzano alla misurazione del senso di soddisfazione e dell’esperienza emozionale positiva.

La scelta di utilizzare tal tipo di strumenti tuttavia è stata anch’essa oggetto di numerose critiche. Una prima obiezione è stata sollevata circa il fatto che una scala self- report rifletta fedelmente quelli che sono gli stati interni della persona e questo per due ordine di motivi: influenza di meccanismi ego-difensivi; spinta all’autopresentazione per il mantenimento di una certa desiderabilità sociale. Quest’ordine di problemi è stato aggirato ritenendo utile a tal proposito più (in tempi diversi) somministrazioni dello stesso strumento.

La Social Cognition ha tuttavia evidenziato che se certi errori possono essere contenuti grazie a un certo numero di somministrazioni, alcuni altri sono più sistematici e non possono essere superati se non grazie all’uso di più metodi valutativi (ad esempio tramite la triangolazione dei metodi).
Sempre l’approccio cognitivista ha sottolineato come la persona che deve compilare un self- report è chiamata a svolgere un processo che ha più fasi (interpretazione di cosa richiede la scala, ricerca nella memoria delle informazioni utili per rispondere, formulazione e comunicazione della risposta).

Tale affermazione porta con sé l’implicazione che la persona potrà dunque commettere errori ad ognuna delle fasi del precedente processo. In questo modo la valutazione della persona viene considerata come fortemente influenzabile dagli stati emotivi prevalenti in un dato momento e dalle situazioni che l’individuo sta vivendo.

Il giudizio sul benessere soggettivo viene posto dunque dalla Social Cognition nelle sfera del “precario” e del “mobile” tanto che la sua misurazione viene ritenuta impraticabile. I dati empirici hanno tuttavia smentito tale credenza, poiché la stabilità del benessere soggettivo è correlata al mantenimento delle condizioni di vita e ai fattori di personalità (Zani, B., Cicognani, E. 2000).

La dimensione soggettiva del benessere può essere valutata globalmente o a livello più specifico (ad esempio indagando i vari ambiti di vita) e può indirizzarsi a una “fetta temporale” più o meno ampia.

Valutazione del benessere psicologico

Una prima considerazione che è d’obbligo fare circa le scale che valutano il benessere psicologico è che molte di queste non hanno un adeguato sostrato teorico specifico sul funzionamento psicologico positivo.
Questo perché tali scale non sono state progettate per la rilevazione del benessere psicologico, bensì sono scale progettate per la valutazione di altri fenomeni (self- efficacy, mastery, locus of control, ottimismo) che vengono supposti essere in stretta relazione con la salute psicologica.

Proprio quest’ultimo è il punto debole della misurazione del benessere psicologico sul quale si innescano varie critiche. Prima fra tutte viene evidenziata l’incertezza della relazione fra self- efficacy (e tutti gli altri fenomeni prima citati) e funzionamento psicologico positivo. Difatto solo una parte degli studiosi del benessere ritiene che una buona autostima possa essere considerata salute psicologica. Si possono quindi più adeguatamente considerare l’autostima, il locus of control, l’ottimismo (etc. etc.) indicatori del funzionamento psicologico positivo.

Di contro alcune scale per misurare l’ansia e la depressione vengono utilizzate per rilevare le emozioni negative. Molti autori ritengono infatti che il benessere sia composto di due dimensioni: una dimensione positiva (che viene valutato tramite la soddisfazione e gli stati emozionali positivi); una dimensione negativa o malessere (per lo più rilevata con scale cliniche, scala per l’ansia e la depressione).

Una delle poche scale che ha nel suo sostrato una teoria specificamente sul benessere psicologico è quella di Carol Ryff (in Zani, B., Cicognani, E., 1999), che come detto in precedenza individua sei dimensioni: autonomia; controllo ambientale; crescita personale; relazioni positive con gli altri; scopo nella vita; accettazione di sé. Vi sono varie forme di questo strumento (a 20, a 14 e a 3 item per un totale rispettivamente di 120 item, 84 item e 18 item) del quale è possibile osservare una scheda a tre item.

Scale del benessere psicologico (versione a 3 item)

Autonomia

Tendo ad essere influenzato dalle persone che hanno una forte personalità (R)
Ho fiducia nelle mie opinioni, anche se esse sono contrarie a quelle degli altri
Giudico me stesso secondo ciò che penso sia importante e non per ciò che gli altri pensano sia importante (R)

Controllo ambientale

In generale, ho la sensazione di padroneggiare la situazione in cui mi trovo
Le richieste di vita di tutti i giorni spesso mi abbattono (R)
Sono molto bravo a gestire le molte responsabilità della vita quotidiana

Crescita personale

Penso che sia importante avere nuove esperienze che ti aiutino a confrontare l’opinione che hai di te e del mondo circostante
Per me la vita è stata un continuo processo di apprendimento, cambiamento e crescita
Ho rinunciato a grossi miglioramenti o cambiamenti nella mia vita già da molto tempo (R)

Relazioni positive con gli altri

Mantenere le relazioni stabili è stato per me difficile e frustante (R)
La gente mi descriverebbe come una persona disponibile, pronta a condividere il mio tempo con gli altri

Non ho avuto esperienza di molte relazioni calorose e di fiducia con gli altri (R)

Scopo nella vita

Vivo a la vita giorno per giorno e non penso al futuro (R)
Alcune persone sono senza progetti , ma io non sono una di quelle
Avolte ho la sensazione di aver fatto tutto quello che si poteva fare (R)

Accettatzione di sé

Sono soddisfatto di come sono andate le cose nella mia vita
Sono soddisfatto della maggior parte degli aspetti della mia personelità

Molte volte non mi sento soddisfatto dei risultati ottenuti nella mia vita (R)

R= item da capovolgere
Fonte: Ryff, C. D., Keyes, C. L. M. 1995 in Zani, B., Cicognani, E., 1999

Valutazione del benessere sociale

La misurazione del benessere sociale risulta ancora un processo complesso forse per la difficoltà a rilevare quelle che sono le componenti del fenomeno e quali siano le relazioni con gli altri aspetti del benessere (soggettiva, psicologica, fisica) (Larson, J. S. . in Zani, B., Cicognani, E., 1999).

Inerentemente al benessere sociale è possibile far sinteticamente riferimento a due tipi di criteri di valutazione: strumenti che vanno a determinare il grado di adattamento sociale; strumenti che rilevano il benessere sociale.
In Italia si è tradizionalmente privilegiata la misurazione del sostegno sociale (Prezza, M., Sgarro, M. 1992).

Una linea di valutazione recente e valida è stata proposta da Keyes (in Zani, B., Cicognani, E., 1999), il quale, come accennato in precedenza (si veda p.9- 10) individua cinque componenti del benessere sociale:

  • integrazione sociale;
  • accettazione sociale;
  • contributo sociale;
  • attualizzazione sociale;
  • coerenza sociale.

Queste componenti sono risultate essere in relazione con il benessere psicologico, fisico e soggettivo, sottolineando ancora una volta come non è possibile pensare alle varie dimensioni del benessere ritenendole avulse ognuna dall’altra (Zani, B., Cicognani, E. 2000).

2018-04-30T23:42:22+02:00